sabato 13 giugno 2020

Poesia antica e "La grande bellezza"

A cosa serviva la poesia nel mondo antico? Serviva a rappresentare la realtà o invece a staccarsi da essa? Era qualcosa di mimetico oppure qualcosa di ingannevole? È qualcosa di superato o qualcosa di sempre attuale?


Come raccontava Pindaro, nel suo Inno a Zeus, quando tutto era stato creato, gli dei si resero conto che mancava qualcosa che conferisse all’universo bellezza e armonia, attraverso la parola e il canto. Ecco allora che Zeus creò la poesia e le Muse. Queste, dunque, nascono come custodi della bellezza e la loro azione serve a “ricreare continuamente il cosmo nella meraviglia del canto che funge da principio ordinatore”. Le Muse ispirano il poeta che, tuttavia, “di per sé non crea, ma ordina l’esistente rinominandolo nell’atto poetico; il suo canto non si misura con la verità assoluta, regno delle Muse onniscienti, ma con la pratica della rimemorazione e il paziente esercizio della parola”.  Il canto del poeta, allora, non essendo una verità assoluta, si configura come qualcosa di misterioso, che potrebbe dare adito a finzioni o inganni.


Bisogna precisare che questi termini nel mondo antico non avevano la stessa accezione negativa che hanno adesso: la parola finzione era da intendersi come sinonimo di “verosimiglianza”; per inganno, invece, si intendeva una illusione che maschera la realtà. Nell’accezione contemporanea del termine, l’elemento che rende spregevole l’inganno è l’intenzione di ingannare, vale a dire il chiaro obiettivo di far conoscere agli altri una verità falsa, dove  per falso si intende il “dire le cose come non stanno”, il dire “ciò che non è”. Nel mondo greco, invece, non esiste un termine univoco che sta per inganno, ma esiste una molteplicità di parole tra cui δόλος o Μῆτις, la dea che personifica l’inganno. Il modo di intendere la poesia e in generale l’arte si è molto modificato nel corso dell’età antica, basti pensare al fatto che Platone nella Repubblica parlava dell’arte come disciplina da conoscere come tante altre, mentre fu solo a partire da Aristotele che l’arte cominciò a profilarsi come una disciplina autonoma.

Non si può, tuttavia, mettere tra parentesi il fatto che, nel mondo antico, il poeta veniva considerato da molti come “portatore di verità”, come colui che si fa portavoce di un sapere quasi divino. Sono i poeti a spiegare e a far conoscere gli dei agli uomini, come ci racconta Erodoto in un celebre passo della sua Historiae

Da chi nacque ciascuno degli dèi, se tutti esistettero da sempre e quali siano le loro forme, fino a poco fa, per così dire fino a ieri, non si sapeva. Penso infatti che Esiodo e Omero siano più vecchi di me di quattrocento anni e non di più. Sono stati loro ad aver composto per i Greci una teogonia, attribuendo agli dei i loro epiteti, dividendo i loro onori e le loro competenze, indicando le loro forme. 

A differenza di Erodoto che utilizzava il metodo autoptico, il poeta non sa per avere visto: la prerogativa fondamentale per essere un buon aedo è quella di narrare “come se” avesse partecipato agli eventi. Per dirla con Aristotele, un buon aedo doveva essere un “abile mentitore”, scegliendo “fatti impossibili ma verosimili” e non “fatti impossibili e incredibili”. L’oggetto della poesia è il verosimile.


Nel proemio della sua Teogonia, Esiodo dice che le Muse dichiarano di pronunciare “molte menzogne simili al vero”: queste divinità fanno sì che la poesia venga fuori come un intreccio di verità e di finzione verosimile, che non coincide con la falsità in senso stretto. Molti hanno dato a questo riferimento un’accezione del tutto negativa, attribuendo le menzogne alla tradizione omerica e la verità a Esiodo, in quanto poeta ispirato da Muse benigne e veritiere. La menzogna delle Muse, in realtà, può essere vista come un dono del tutto positivo per gli effetti che da esso derivano. Il falso simile al vero costituirebbe, infatti, l’intrinseca natura del canto poetico rivolto agli uomini e sarebbe una “deviazione benefica della verità”, avente lo scopo di avvicinarsi alla bellezza e al mistero più profondo delle cose.


Le divine menzogne, allora, diventano la condizione fondamentale della poesia, la conditio sine qua non che rende possibile la meraviglia del canto. In questo senso, il termine “verosimiglianza” non va interpretato come “menzogna”, bensì come “finzione” nell’accezione latina del temine, ovvero come modellare la materia che si ha a disposizione per creare e ricreare il nuovo, il bello, l’ordine: “il dono delle Muse al mondo è dunque la consolazione di una bellezza imperfetta, che forse ha più felice ragione d’essere proprio nella sua imperfezione”.

Potrebbero essere proprio queste le idee che il regista Paolo Sorrentino aveva in mente, quando scrisse l’explicit del suo film premio oscar, La Grande Bellezza: “Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c'è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L'emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c'è l'altrove. Io non mi occupo dell'altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco”.


Prima di iniziare a scrivere il suo romanzo, Jep Gambardella sente il bisogno di ricordare che, laddove le muse cantano, vengono pronunciate “molte menzogne simili al vero”; che la scrittura, quando viene concepita dall’ispirazione poetica, è “solo un trucco” che ci permette di mascherare l’imbarazzo dello stare al mondo. Nella poesia come finzione che dà bellezza al mondo possiamo riconoscere, allora, uno di quei temi che costituiscono la linea di continuità tra ieri, oggi e domani: potendo riconoscere un archetipo. 

Dott.ssa Simona Lorenzano
sezione "Cinema e cultura" senza confini

Bibliografia 
R. Ioli, Il felice inganno. Poesia, finzione e verità nel mondo antico, Mimesis, Milano, 2018.
M. Bettini, Elogio del politeismo, il Mulino, Bologna, 2014. 

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