mercoledì 27 maggio 2020

Oltre la perdita: la demenza di ALZHEIMER


Dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse.
E il mondo appare diverso
Robin Williams in L’attimo fuggente

Quante volte vi sarà capitato di dire o sentire qualcun altro pronunciare frasi del tipo: “Non mi ricordo dove ho messo le chiavi, mi starà venendo l’alzheimer precoce!”, oppure: “che brutto l’alzheimer che non ti fa ricordare più niente!”.


Bene, con questo articolo cercherò di ampliare il punto di vista comune su questa malattia neurodegenerativa, che ad oggi costituisce la demenza più comune nella popolazione mondiale.

Di certo il sintomo principale della demenza di Alzheimer è la perdita della memoria: questa colpisce prima gli eventi più recenti, fino ad arrivare ai primissimi ricordi, in un lavoro a ritroso nel tempo. Potremmo anche aggiungere che l’alzheimer porta con sé purtroppo tanti altri sintomi, diversificati e unici come lo è ogni persona. E se cercate su internet, state tranquilli che li troverete tutti: deficit di pianificazione e di problem solving, difficoltà e rallentamento nel funzionamento lavorativo, sociale e famigliare, disorientamento spazio-temporale, difficoltà nel parlare, nello scrivere e nella comprensione, deficit nel riconoscimento dei rapporti spaziali e delle immagini visive, ridotta capacità di giudizio, cambiamenti di umore e di personalità… e chi più ne ha più ne metta!

Per un attimo proviamo però a cambiare punto di vista: invece che parlare di ciò che viene perso e/o danneggiato da questa patologia, perché non parlare di ciò che resta e su cui si può, anzi si deve, puntare? 
Considerando ovviamente le variabili di ogni situazione e di ogni livello di gravità della patologia, nella demenza di Alzheimer ciò che resta è la loro emotività: studi scientifici dimostrano infatti che le emozioni vengono sentite e ricordate. Quindi, per esempio, una persona affetta da tale patologia potrà non ricordare che siete andati a trovarla di recente ma la vostra visita avrà comunque avuto un impatto emotivo su di lei e su come si sente e sentirà da lì a breve termine. 

Uno studio nello specifico, i cui risultati sono contenuti sulla rivista Cognitive and Behavioral Neurology (Guzmán-Vélez E., Feinstein J., Tranel D., 2014) ci può aiutare a comprendere al meglio tutto questo. Lo studio in questione è stato condotto da Guzman-Vélez, dottorando in psicologia clinica, insieme a due professori di neurologia e psicologia delle università della UI e di Tulsa, su 17 pazienti con Alzheimer e 17 soggetti sani di confronto. Durante lo studio vennero mostrati ai due gruppi dei brevi film tristi e felici che innescarono le corrispondenti emozioni anche nei soggetti con demenza. Cinque minuti dopo la visione dei film entrambi i gruppi dovevano svolgere un compito di memoria su quello che avevano appena visto e, come previsto, i soggetti con demenza ricordarono poco e niente rispetto al contenuto dei film (alcuni di loro non ricordavano nemmeno di aver appena visto un film!).
Nonostante quindi la loro incapacità di ricordare ciò che avesse determinato un certo stato d’animo e certe emozioni, queste stesse emozioni e quello stato d’animo che avevano e stavano provando restavano vivi e presenti. 

La vita emotiva di soggetti con demenza di Alzheimer quindi sopravvive e resiste più forte che mai! 

A cosa può servire questo cambio di prospettiva sulla malattia? 
- A sensibilizzare la comunità facendo si che diventi “amica” della demenza e che il suo punto di vista sull’Alzheimer vada oltre la perdita, in direzione di ciò che rimane vivo.
- A responsabilizzare i caregiver e gli operatori sul fatto che esistono tante attività realizzabili nelle interazioni giornaliere con i pazienti come ballare, cantare, ridere, “giocare” che, seppur semplici e apparentemente banali, possono cambiare la loro giornata e, influenzando la loro vita emotiva, migliorare il benessere psicofisico e la qualità della vita quotidiana.

In conclusione, assumere un punto di vista diverso sulla demenza di Alzheimer non vuol dire minimizzare o dimenticare le difficoltà evidenti della patologia e i relativi sforzi della ricerca medica ma ci ricorda che: “la malattia non toglie di mezzo la vita”. 

I malati restano sempre delle persone con un passato, un presente e un futuro unici e irripetibili, con proprie emozioni e dignità: queste cose NOI non dobbiamo dimenticarle mai.


Dott.ssa Chiara Aglieri Rinella
Psicologa presso Alzheimer Caffè Palermo 


Riferimenti studio: Guzmán-Vélez, E., Feinstein, J. S., & Tranel, D. (2014).
Feelings without memory in Alzheimer disease. Cognitive and behavioral neurology, 27(3), 117.

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