giovedì 2 luglio 2020

Non mettermi ansia!

Una volta ho letto questo tweet: “Siamo la generazione cresciuta con la nonna mangiata dal lupo, tre civette che facevano l’amore con la figlia di un dottore, le mele avvelenate di Biancaneve, Geppetto che abitava dentro una balena, Alice ed i funghi allucinogeni. L’ansia, era il minimo che ci potesse capitare.” Ho pensato che non avesse tutti i torti.

Aggiungerei anche che, in una società dove la parola d’ordine è “incertezza”, l’ansia fa da padrone. Il lavoro? Il posto fisso? La famiglia? Il tempo libero? E questo? E quello? RELAX.




Come spesso suggerisco di fare: assumiamo una prospettiva diversa sull’ansia. Nella nostra rubrica di neuropsicologia dobbiamo cercare di mantenere la calma e vedere cosa accade nel nostro cervello quando l’ansia incombe funesta.

In origine l’ansia ha una funzione adattiva: entro certi limiti di attivazione neurofisiologica, ci aiuta a prepararci per un’eventuale fuga o attacco di fronte a situazioni negative, ci mantiene attivi, motivati e migliora la nostra capacità mnemonica. Si tratta però di un’emozione soggettiva: questo vuol dire che ci sentiamo “in ansia”, anche e soprattutto, di fronte a eventi e/o stimoli che non sono oggettivamente pericolosi. Quindi l’ansia, quando le nostre reazioni aumentano in intensità, durata e frequenza e ci fanno anche fallire nella gestione efficace della minaccia, rischia di diventare patologica e dare vita ai diversi disturbi presenti in ambito clinico.


Tutto inizia dalla percezione di un pericolo esterno tramite i nostri organi di senso che urlano: “ALLERTA! C’è qualcosa di brutto nell’aria…”. Questo messaggio si traduce in un segnale nervoso che attiva una specifica zona della corteccia cerebrale. Ecco che poi entrano in gioco diverse zone del cervello e del sistema simpatico e parasimpatico.

Cosa accade quindi nel nostro cervello?

Il primo ad essere chiamato “alle armi” è il talamo, il piccolo ovetto che sta al centro del nostro cervello che si occupa di “smistare” e inviare lo stimolo provenente dagli organi di senso tra le aree del cervello che si occuperanno di accoglierlo e analizzarlo per bene.

Successivamente infatti queste diverse aree della corteccia cerebrale si metteranno al lavoro sullo stimolo spedito dal talamo con corriere espresso, cercando di capire di cosa si tratti, nome, codice fiscale, data di nascita ecc… Siccome però queste aree sono sempre state tra le prime della classe a scuola, hanno studiato tanto e sono piene di risorse, si occuperanno quindi anche di comunicare con le aree sottocorticali, quelle più antiche del cervello, che potranno preparare fisiolgicamente il corpo a rispondere all’eventuale pericolo.


Ritroviamo anche la nostra cara amica amigdala (che quando parliamo di emozioni è sempre sotto i riflettori), che raccoglie tutti i momenti emotivamente importanti della memoria del cervello (“ti ricordi quando è successa questa cosa e sei andato nel panico senza però che ce ne fosse bisogno? E invece quando avevi ragione di provare paura?”). Quindi quando riceve lo stimolo ansiogeno l’amigdala attiva una modalità di autoprotezione del cervello: meno risorse impiegate nella memoria e più nelle aree di attivazione fisiologica, pronti per un eventuale comportamento utile alla sopravvivenza! L’amigdala è anche il centro dei processi di modulazione degli stati di ansia ed è coinvolta nella risposta emozionale ed ormonale allo stress.

Le comunicazioni tra l’amigdala e le altre regioni, tra cui il lobo limbico e il relativo circuito dello stress (asse ipotalamo-ipofisi-surrene), fanno si che il soggetto possa mettere in atto i comportamenti di risposta al pericolo, incrementando le risposte neurovegetative come l’aumento del battito cardiaco e del tono muscolare, alterazioni della temperatura corporea ecc… Tutta questa attivazione e la relativa sensazione di ansia ovviamente dipenderà anche da fattori più personali come il temperamento della persona, le sue esperienze passate e/o lo stato emotivo del momento.



Complici di questa situazione di “PANICO-PAURA” sono anche i nostri amici neurotrasmettitori. Ritroviamo in particolare un aumento del rilascio della Noradrenalina nella zona dell’amigdala, dell’ipotalamo e della corteccia cerebrale che a sua volta attiva l’asse dello stress, con un aumento del battito cardiaco e del tono muscolare. È questo che rende il corpo pronto all’ “attacco o fuga” e scompensa il ciclo sonno-veglia (per questo quando siamo in ansia abbiano difficoltà a dormire e a dormire bene).

Oltre alla noradrenalina troviamo l’altro membro della gang, il GABA, che ostacola la propagazione tra i neuroni dell’impulso nervoso e appunto rischia di renderci “nervosi” e iperattivi. Di certo, conoscere il viaggio dell’ansia nel nostro cervello può infonderci una minima sensazione di controllo su questa emozione spesso incontrollabile, ma non ci aiuta a risolverla.

Da professionista della salute mentale l’unico consiglio che posso darvi, nel caso in cui aveste reazioni di ansia incontrollata frequenti ed intense è solo uno: chiudete i vari blog e pagine di consigli online, cercate uno PSICOLOGO vicino a voi e andate a trovarlo.


Dott.ssa Chiara Aglieri Rinella - psicologa
sezione "Benessere e salute" #neuropsicologia

The social directors

I l progetto LiSoFi di mobilità e formazione per operatori giovanili si svolgerà a Trapani dal 12 al 22 marzo, ospitato dall'associazion...